
C’è un piccolo cinema milanese che ha celebrato la ripartenza con un sold-out delle proiezioni. Ma la notizia che ha fatto il giro del mondo è che il tutto esaurito si è registrato sin dal primo spettacolo programmato alle sei del mattino. Così a due passi dalla stazione Centrale di Milano il cinema Beltrade – riferimento per film concerto e pellicole d’autore anche in lingua originale, proiettate in una sala contemporanea – ha deciso ad aprile 20121 di dare il buongiorno ai propri spettatori. «Che bel modo di iniziare la settimana, dopo si fa colazione e poi via con la giornata di lavoro», hanno raccontato alla stampa gli avventori.
La nuova “yolo economy”
Voglia di evasione e leggerezza, forse solo voglia di normalità. La chiave per comprendere il marketing in questo secondo anno segnato dalla pandemia sta in un acronimo, rilanciato la scorsa settimana da Kevin Roose sul New York Times. Si tratta di yolo, ossia you only live once. Tradotto: si vive una volta sola. Un cambio di passo che coinvolge soprattutto generazione Z e millennial, lasciando distanziate le fasce più mature della popolazione.
«La yolo economy sta facendo reinventare la vita ai più giovani. La pandemia ha avuto un impatto, anche emotivo, su tutti. Ha alimentato l’ansia per la perdita di persone care e di posti di lavoro. Tutto questo sta spingendo molti millennial a rivalutare le proprie priorità. Alcuni stanno abbandonando lavori stabili per avviare nuove attività. Il rischio sembra essere il nuovo mantra, dopo mesi segnati da uno stato di ansia ed esaurimento», scrive Roose, specificando come tutto questo sia incoraggiato dall’aumento dei tassi di vaccinazione, da un mercato del lavoro in ripresa e dai conti bancari “ingrassati” dopo un anno di risparmio per via della vita casalinga.
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Lo storytelling che sarà
La ricostruzione come priorità. Ne sono convinti 250 chief marketing officer di grandi realtà interpellati da Deloitte sul marketing nella fase post-emergenziale. Dalla fotografia emerge come digitalizzazione, lavoro agile e made in Italy siano le chiavi per interpretare la ripartenza. Il 47% dei Cmo ritiene che ripensare il ruolo dei canali di comunicazione a favore del digitale rappresenti una priorità.
Torna con forza anche la sostenibilità, che pesa per 4 top manager su 10 nel posizionamento del brand. Ma a mettere tutti d’accordo è la necessità dell’ascolto, esterno e interno all’azienda: è essenziale per il 65% degli intervistati, mentre il 58% auspica una riorganizzazione, anche a seguito dello tsunami della pandemia. «Spesso i singoli fenomeni si scambiano per tendenze, ma generalizzare ha poco senso. Credo ci sarà un’inevitabile ripresa di alcune abitudini precedenti – con grande entusiasmo torneremo ad acquistare scarpe e vestiti –, ma i cambiamenti profondi di questo tempo resteranno perché sono cambiate le modalità d’acquisto, le abitudini e le gerarchie di consumo: gli effetti di questi tre fattori tra loro combinati dureranno nel tempo», afferma Annamaria Testa.
Ma attenzione: per una delle maggiori esperte italiane di comunicazione non ci sono ricette magiche da perseguire. «Dobbiamo mettere al bando le scorciatoie. Non basta l’intuizione brillante e non c’è neppure un tono di voce che vada bene per tutti i prodotti, e inseguirlo è riduttivo e fuorviante. Occorre invece fare ricerche, ascoltare i clienti, comprendere come sono cambiati. Paradossalmente oggi si tende a fare meno ricerca, mentre questo è il momento di mettersi in ascolto per davvero», precisa Testa.
Messaggi e modelli
Leggere i dati e comprenderli per proporre nuovi modelli. «Vorrei che le aziende smettessero di dire cosa deve fare il consumatore e tornassero a raccontare cosa fanno loro. Siamo stati travolti, soprattutto nella prima ondata, da messaggi aspirazionali e generici e abbiamo bisogno di tornare alla concretezza: le aziende devono trovare la capacità di dare messaggi al pubblico più autentici sui prodotti, devono tornare alle proprie radici», conclude Testa.
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