
Le soluzioni alternative
Lo scenario che si delinea per l’industry pubblicitaria appare quindi meno “sfidante”. «Gli operatori del settore – dichiara Andrea Lamperti, direttore dell’Osservatorio internet media del Politecnico di Milano – si stanno però adoperando per adottare e sviluppare delle soluzioni alternative che la ricerca dell’Osservatorio ha catalogato in 3 macro-aree:
soluzioni di identità, contextual advertising e altre soluzioni Ai-based.
Le soluzioni di identità lavorano sul processo di identificazione e tracciamento dell’utente lungo la filiera pubblicitaria tramite l’utilizzo di strategie diverse dai cookie di terze parti. Tra queste troviamo l’utilizzo di 3 alternative:
– i dati di Crm (Customer relationship management), e in particolare l’e-mail, assumeranno un ruolo più importante all’interno della filiera pubblicitaria. Molte piattaforme Crm aziendali e Customer data platform , per esempio ,supportano già da tempo l’integrazione e l’attivazione diretta di indirizzi e-mail all’interno dei social network;
– il Mobile advertising id (Maid), un identificatore fornito direttamente dal sistema operativo del dispositivo mobile che, con logiche simili ai cookie di terze parti, trasmette informazioni sul comportamento in app della persona e del dispositivo utilizzato;
– l’Universal Id, sistemi basati sulle piattaforme di identity resolution e creati per trovare un meccanismo di tracciamento cross-piattaforma che non ponga le proprie basi sul cookie sync. In generale queste soluzioni possono essere di tipo deterministico, basate sull’indirizzo e-mail, o probabilistico, legate alle informazioni derivanti dai cookie di prima parte, di terze parti (fin quando saranno utilizzabili) o indirizzo Io.
La pubblicità mirata
Il contextual advertising (cioè la pubblicità mirata che veicola l’annuncio pubblicitario in funzione del contenuto della pagina web di destinazione) è profondamente cambiato rispetto al passato. In precedenza l’individuazione di contenuto si basava quasi esclusivamente sull’abbinamento di parole chiave; oggi l’elaborazione del linguaggio naturale consente una conoscenza più approfondita del contesto e del “sentiment” di ciascuna pagina, mentre il “machine vision” è in grado di analizzare anche immagini, video e audio e di comprenderne il significato.
Ci sono inoltre delle soluzioni basate sull’Intelligenza artificiale che sfruttano parametri diversi dal contesto e comportamento dell’utente, poggiando le loro basi su alcuni elementi specifici come formato, posizionamento dell’annuncio, audience del singolo sito, performance delle campagne passate ed engagement. Le soluzioni a oggi presenti sul mercato fanno ampio utilizzo di algoritmi proprietari, e ciascuna di queste sfrutta dunque parametri e modelli differenti per il “delivery” delle campagne.
Per far fronte a questa profonda mutazione che caratterizzerà il digital advertising nei prossimi anni, stanno inoltre nascendo diversi progetti portati avanti da più attori della filiera, anche competitor tra loro. Tra questi, i più noti sono la Privacy Sandbox proposta da Google e il Project Rearc di Iab.
I brand e lo scenario cookieless
La Ricerca dell’Osservatorio ha evidenziato poi una forte rilevanza della tematica cookieless non soltanto per gli “addetti ai lavori” pubblicitari, ma anche per tutto l’ecosistema di marketing e comunicazione, in quanto impatterà significativamente il targeting e la misurazione. A inizio 2021, infatti, il livello di interesse rispetto allo scenario cookieless è “rilevante” e “massimo” in riferimento al targeting per il 71% dei rispondenti, alla misurazione per il 65% dei rispondenti e al programmatic per il 51%.
I ragionamenti in atto relativamente alla tematica sono tuttavia ancora limitati. Soltanto il 22% ha valutato “rilevante” o “massimo” il livello di conoscenza della propria azienda con riferimento al targeting in merito alla deprecazione dei cookie di terze parti, il 31% dei rispondenti lo ritiene tale per la misurazione e il 24% in riferimento al programmatic.
È importante quindi sottolineare come la maggior parte degli advertiser non ha ancora preso in considerazione né approfondito il fenomeno.
La preoccupazione delle aziende
Considerando il livello di preparazione delle aziende rispetto allo scenario cookieless, il 48% dei rispondenti lo ha valutato “assente/minimo” o “limitato” in riferimento al targeting, il 50% in riferimento alla misurazione e al programmatic. Inoltre, dalle interviste è emerso che le aziende advertiser “più evolute”, ossia quelle che hanno cominciato ad approcciare la tematica con maggiore attenzione, vivono un sentimento di generale preoccupazione e disorientamento, a causa di una deadline non ancora ufficializzata e una mancanza di proposte alternative da parte dei player della filiera.
Rispetto a quest’ultimo punto il 51% dei rispondenti ha affermato che la propria azienda si è effettivamente attivata per trovare una possibile soluzione/alternativa per affrontare le criticità emergenti dallo scenario cookieless: nello specifico il 9% sta già testando alcune soluzioni alternative, il 7% ha già individuato le soluzioni alternative che utilizzerà e il 35% ha avviato la ricerca. «Si sta sviluppando nelle aziende – conclude Nicola Spiller, Direttore dell’Osservatorio internet media del Politecnico di Milano – un senso di urgenza verso la cultura del dato, che passerà necessariamente anche attraverso le attività di valorizzazione del f irst party data, il maggior riconoscimento degli utenti sulla base di logiche probabilistiche e la consapevolezza che, in futuro, le decisioni si baseranno su meno dati, ma più precisi. A fronte di tutto questo, si prospetta dall’altro lato un ulteriore rafforzamento del ruolo degli Ott e dei loro walled garden, chiamati così proprio perché sono ambienti chiusi all’interno dei quali i dati possono essere utilizzati in trasparenza per una miriade di servizi offerti dalla stessa piattaforma, oltre che appunto per fini pubblicitari».
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