
«Dobbiamo smettere di interrompere ciò che interessa alle persone e provare a diventare ciò a cui le persone sono interessate. Invece di puntare sull’interruzione pubblicitaria, lavoriamo sull’attrazione».
Così Dharmesh Shah, co-fondatore di HubSpot, colosso tecnologico nato in quel mitico garage di sperimentazione che è il Massachusetts Institute of Technology, noto ai più come MIT e arrivato a sfiorare in sedici anni il miliardo di dollari di fatturato. Per Shah, informatico per formazione e imprenditore per professione, lo spartiacque tra lo storico break e la nuova narrazione legata all’intrattenimento sta proprio in quell’interruzione da superare. Ecco allora che non basta più mettere l’utente al centro. Ora va fatto divertire, emozionare, sorridere, persino arrabbiare. E spingerlo all’acquisto. In fondo tutto si può fare, eccetto che annoiare.
Quanto vale il mercato
La risposta all’attenzione sempre più labile arriva dal branded entertainment, fenomeno che declina lo storytelling della marca creando valore e reputazione. In Italia questo mercato, composto da una filiera sempre più variegata e necessariamente integrata, si è attestato nel 2021 sui 568 milioni di euro come dato aggregato e per l’anno 2022 si stima possa arrivare a 619 milioni di euro (+9% sull’anno precedente).
Ma quello che colpisce è la mole di realtà che hanno deciso di abbracciare questo modello: otto aziende su dieci hanno dichiarato di aver realizzato almeno un prodotto di branded entertainment nel corso del 2021. A fotografare il fenomeno è OBE, l’Osservatorio Branded Entertainment, associazione che coinvolge 46 tra aziende, editori, agenzie, case di produzione. La ricerca annuale è realizzata in collaborazione con BVA Doxa in partnership con RTI.
L’economia dell’attenzione
Obiettivo: sottolineare la rilevanza di questo settore nell’economia e nella società. D’altronde emergono nuove sensibilità per i consumatori, nuovi comportamenti di fruizione, nuove opportunità di distribuzione che ridefiniscono l’economia dell’attenzione. Mai come ora le marche si trovano a competere sui feed personalizzati dagli utenti. Così si scommette sull’alleanza: oggi i canali social sono le piattaforme di atterraggio più adottate per questi progetti (66%), ma si impongono anche gli owned media dei brand (49%). A seguire televisione (43%), YouTube (35%), editoria online (34%) e cartacea (2%), piattaforme audio e podcasting (17%).
Dopo il blackout legato all’emergenza pandemica tornano ad affacciarsi anche le scelte di narrazione legate all’Out of home con affissioni e manifesti (15%). Nella classifica delle preferenze fanno capolino le piattaforme video a pagamento (11%) e le app di gaming (6%). Gli investimenti si orientano ancora sulla televisione per più di un terzo dei brand (37%). A seguire i social come Facebook, Instagram, TikTok e Youtube (22%). In generale televisione e piattaforme digital assorbono più dell’80% degli investimenti. Gli interlocutori privilegiati per le aziende sono ancora oggi agenzie (75%), centri media (71%) e case di produzione (48%).
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