
Ve lo ricordate il tormentone di Roberto Benigni di fine anni Ottanta? «Achille, cambia nome!» Il riferimento era ovviamente a Occhetto, ultimo segretario del Pci impegnato nella svolta della Bolognina che avrebbe portato alla nascita del Pds. Chissà che avrebbero detto all’epoca Occhetto, Benigni e tutti i militanti di quello che era il più grande partito comunista d’Europa occidentale se avessero saputo che, 20 anni più tardi, in una situazione analoga ci si sarebbe trovata l’azienda simbolo del capitalismo postmoderno: Facebook. Anzi: Meta, come l’ha ribattezzata il fondatore Mark Zuckerberg. Suscitando immediatamente un interrogativo in molti dei 2,80 miliardi di utenti sparsi per il mondo: siamo poi tanto sicuri che non ci fosse nome migliore?
Perché Zuckerberg ha scelto Meta
Perché «Zuck» ha scelto Meta è cosa nota: il nome sta per metaverso, l’orizzonte ideologico – tecnologico – videoludico verso cui il social network per eccellenza vuole portarci tutti, una specie di Second Life, solo più figo. Che, a non saper leggere né scrivere, rappresenta un magnifico diversivo dopo tutto tutte le polemiche sulla privacy e le dichiarazioni della talpa Frances Haugen che hanno travolto Facebook. Meta è l’americanizzazione della preposizione greca «metà» che significa «in mezzo», «tra», «dopo» e sta davanti a parole intriganti come metamorfosi e funeste come metastasi. Zuckerberg sicuramente lo sapeva, quant’è vero che all’università recitava a memoria i versi dell’Iliade. Altre cose non siamo così sicuri le sapesse.
Meta è già un’azienda
Ecco la prima: Meta è già marchio registrato. Appartiene a Meta Pcs, una pmi dell’Arizona che vende computer e gadget tecnologici vari per appassionati di gaming, un popolo non troppo diverso da quello che frequenta le piattaforme di Zuck. Non è che Menlo Park avrà copiato? I maligno lo dicono ma, comunque la mettiate, la strada numero uno per aggirare l’ostacolo è «conciliare», staccando ai titolari del marchio un bell’assegno da 20 milioni di dollari. Se vi sembra tanto per un negozietto di pc, sappiate che tutto è relativo: il fondatore di Facebook, uno che ha tanti amici ma pure altrettanti nemici, la stessa cifra la spende in un anno per la propria sicurezza personale. La strada numero due è mettere a lavorare sul dossier gli avvocati del gruppo per trovare qualche cavillo. Ma non è detto che la seconda opzione costi meno della prima.
Meta è una città
Seconda cosa che forse Zuckerberg ignora: Meta è una città. Una cittadina, per la precisione: posticino delizioso che apre ai turisti provenienti da Vico Equense le porte della Penisola Sorrentina e ha dato all’Italia raffinati intellettuali come il rapper Anastasio. Da quelle parti pare che la decisione di Menlo Park sia stata accolta con quel misto d’orgoglio e compiacimento finesettimanale che rappresenta bene lo spirito del luogo. Fanno fede i meme del gruppo «Sei di Meta se…» Per inciso: Meta era «meta» prediletta (perdonate il gioco di parole) degli studenti dell’hinterland napoletano che negli anni Ottanta e Novanta marinavano la scuola, in fuga dai propri doveri. «Metafora» perfetta per il lavoro che fa Facebook.
Meta è «morta» (in ebraico)
Terza cosa che forse Zuckerberg non sapeva: in ebraico la parola meta è un aggettivo femminile che significa «morta». Mica per caso in Israele l’hashtag #FacebookDead è diventato virale subito dopo l’annuncio del cambio di nome. Ed è qui che ti spunta subito la teoria del complotto: è messaggio subliminale! Come dire: Facebook è morta, evviva Facebook. A essere sinceri, non siamo poi tanto sicuri che Zuckerberg non lo sapesse. Ma siamo sicuri del fatto che, con un po’ d’impegno, avrebbe potuto essere più originale. O forse no: dopo tutto il genio è lui, mica noi.
Source link