Marketing

L’ultima sfida dello storytelling contro l’indifferenza dei clienti

Per preservare il futuro talvolta bisogna guardare al passato, fino a spingersi agli inizi della civiltà. È quello che ha fatto Pantone individuando il colore dell’anno 2023 nel pigmento più antico della Terra, scoperto dalla ricercatrice Nur Gueneli nelle rocce sedimentarie marine di oltre un miliardo di anni fa in Mauritania. Si tratta di Pantone 1775 C, un rosa brillante dei fossili molecolari della clorofilla prodotti da antichi organismi fotosintetici che abitavano un antico oceano scomparso da tempo. Un modo per scuotere le coscienze di cittadini e consumatori. Perché questo colore evidenza ciò che è stato trovato sulla Terra prima che fosse abitata, e il rischio è non riuscire più a vedere questo tono in natura a causa dei cambiamenti climatici causati per mano umana. La perdita della biodiversità purtroppo è nei numeri: già oggi il 75% della superficie mondiale è stata alterata dall’azione umana. Il nuovo colore della biodiversità è stato lanciato con l’azienda produttrice di tè Tea Leaves.

Codificare i messaggi

Sensibilizzare partendo da un colore. D’altronde il mondo iperconnesso è avvolto dalle nebbie del caos, con una difficoltà di comprensione delle narrative, e di riflesso delle scelte consapevoli d’acquisto. È quanto emerge da “Post-Invasion”, la nuova ricerca, con titolo evocativo, promossa da Omnicom Pr Group con Astra e Università Iulm. Si tratta dell’analisi della reputazione nell’epoca delle emergenze continue: dalla post-pandemia alla guerra, dalla crisi economica a quella ambientale, fino alle ricadute sociali. L’indagine prende in considerazione 64 differenti brand di otto settori produttivi: dai dati emerge come i cambiamenti climatici facciano paura, generando un aumento delle aspettative per quei brand che hanno scelto da subito la via della sostenibilità nei fatti.

La reputazione aziendale dipende oggi soltanto per il 41% dai servizi e dai prodotti offerti. Il resto del tesoretto reputazionale si coglie altrove, precisamente per il 35% dall’impatto sociale della marca e per il 24% dai comportamenti dei vertici aziendali. Associazioni di consumatori, istituzioni e dipendenti risultano le fonti di informazione più credibili, mentre il maggior valore è legato alle certificazioni e alla trasparenza su produzione e filiera. Così la tracciabilità diventa elemento prioritario per uno storytelling che va semplificato e reso accessibile oltre gli slogan e le campagne di marketing puramente formali. Tra i brand analizzati le migliori performance sono legate ad automotive (44,7%), grande distribuzione (42,9%) e tecnologia (42,6%). Nel non dichiarato le rilevazioni neurometriche premiano il comparto della cura della persona. «Poco meno della metà della popolazione mostra sentimenti positivi verso le aziende, dato migliorativo rispetto al 2020. Tuttavia preoccupano gli indifferenti, che rappresentano in alcuni casi il 40% degli intervistati. Una delle concause può essere individuata nella difficoltà a capire cosa oggi sia autentico e credibile», afferma Massimo Moriconi Ad di Omnicom Pr Group.

Scardinare l’indifferenza

Intanto il consumatore diventa contemporaneamente più internazionale e più territoriale. Un profilo glocal evoluto rispetto al passato, più impegnato socialmente, più distratto da una pluralità di schermi e soprattutto a caccia di modelli per decodificare i messaggi. Oggi in Italia il 73% delle persone immagina che sia tutto interconnesso e collegato, frutto di un processo integrato. Ecco allora che l’attenzione si sposta dal perché al chi. «C’è necessità di uno storytelling più semplice da comprendere. Le scelte intraprese a livello internazionale e locale sono oggi considerate allo stesso livello dagli italiani, che rivelano per la prima volta e in modo così accentuato una coscienza planetaria che vive nelle scelte fatte in prossimità. Le paure consapevoli delle persone, una maggiore polarizzazione delle aspettative dei consumatori unitamente all’autenticità e al coraggio dei brand guideranno le conversazioni. In questo contesto, il passaggio dal perché una marca esiste al chi è, permette uno storytelling su valori, impegni, azioni. In ogni caso, spiegare e raccontare in modo efficace scelte aziendali implica l’ascolto continuativo e integrato delle teste e dei cuori dei pubblici di riferimento», precisa Moriconi. Ma c’è di più. Il caos complica le cose per comunicatori e marketer, che devono affrontare la sfida dell’attenzione riuscendo a conquistare testa e cuore del consumatore. Per farlo occorre vincere la battaglia dell’indifferenza. Oggi la platea di indifferenti va dal 30% al 40%, oltre agli haters che si attestano tra il 10% e il 20%, evidenzia la ricerca. «Dove non c’è interesse è difficile muovere testa e cuore e quindi va creata una relazione. Quella testa e quel cuore si conquistano andando a mappare il non dichiarato. Servono tecniche di ricerca evolute messe a punto dalle neuroscienze applicate all’economia e al marketing volte a misurare l’impatto degli stimoli che costituiscono l’immaginario di un brand, senza la mediazione razionale del pensiero e del dichiarato. L’opportunità è quella di indagare il coinvolgimento emotivo e la vicinanza valoriale – quello che chiamiamo “Untold Reputation Map” – derivate da reazioni del corpo che non possono essere intenzionalmente alterate», conclude Moriconi. Lo ha scritto anche Yuval Noah Harari nelle sue 21 lezioni per il XXI Secolo: «In un mondo alluvionato da informazioni la lucidità è potere».


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