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La generazione Z diventa adulta: per i brand relazione da riscrivere

Cambiare il mondo un piatto alla volta. Lo ripete come un mantra Cherie Tu, ventenne vegan-chef australiana, blogger e appassionata di cucina. I suoi post, rilanciati con Stories coloratissime, raccontano ricette sostenibili. Cherie Tu è stata scelta come brand ambassador dal colosso belga di alimenti e bevande a base vegetale Alpro ed è seguita da una schiera di giovanissimi interessati a stili di vita sostenibili e alimentazione vegana.

Così la generazione Z si sta orientando verso dinamiche emergenti di acquisto, passando dal possesso all’accesso, ma i brand stanno prestando attenzione a questa rivoluzione? Se lo è chiesto Forbes, ricordando come questa fascia rappresenterà a breve la maggioranza dei consumatori. Bank of America prevede che entro il 2031 il reddito della generazione Z supererà quello dei millennial. E allora certi interrogativi dovranno trovare necessariamente risposta perché si tratta di ragazzi che diventano adulti, orientano i consumi e si ricostruiscono da zero punti di riferimento differenti rispetto a quelli dei predecessori: già oggi il 20% di loro in Italia e Spagna e almeno il 40% in Germania, Francia e Inghilterra ha lasciato la famiglia e vive autonomamente, entrando in una dimensione di acquisti fatti in prima persona.

Z, questa sconosciuta

A fotografare questa generazione in evoluzione è la ricerca “Gen Z: the best is yet to come”, realizzata da Eumetra International. Un’indagine che ha coinvolto cinque maggiori Paesi europei: Germania, Francia, Italia, Spagna e Inghilterra. Lo studio, basato su un totale di 10.000 interviste, ha ricostruito valori e atteggiamenti dei giovani nati dal 1995 al 2010 per comprendere come le aziende possano intercettarli. Perché se la differenza rispetto agli altri cluster è da sempre un tratto distintivo, quante novità sono destinate a restare o a ricomporsi, a mano a mano che i ragazzi diventano adulti?

C’è un dato di partenza inequivocabile: il livello di conoscenza delle categorie di prodotti e delle marche da parte della generazione Z è estremamente basso, nettamente inferiore a quello degli adulti. Di più. La maggior parte di loro arriva impreparata alle scelte di acquisto. Poi bisogna sfatare alcuni luoghi comuni. Perché ciò che emerge è che alcuni temi oggi non fanno più breccia. Uno tra tutti è quello dei motori, che un tempo appassionava i giovani. Così marchi outsider e blasonati paradossalmente partono dallo stesso punto di partenza.

«Questi ragazzi sono in totale assenza di conoscenza dei settori, delle marche e dei prodotti, ma hanno l’esigenza di imparare ad orientarsi per compiere le proprie scelte. Più che puntare a tutti i costi su un registro giovanile, con il rischio di disallinearsi, potrebbe essere opportuno spiegare l’efficacia, suffragandola con la storia del marchio», afferma Luca Secci, CEO di Eumetra International.

Nuovi format per la Z: Raissa e Momo

Due cuori e uno smartphone per una storia declinata al plurale e che parla a questa incasellabile generazione Z. Perché ci sono loro due: giovani, fidanzati, innamorati. E poi perché dietro alle loro Stories su Instagram o ai video su TikTok c’è una community di migliaia di giovanissimi che li segue, li sostiene, li ama. Si tratta di Raissa e Momo. Il profilo di coppia porta i nomi di entrambi ed è nato nel tempo espanso del lockdown. Video autoironici contro razzismo, pregiudizi, intolleranza.

«Il nostro primo contenuto è stato pubblicato due anni fa sul mio profilo TikTok. In modo scherzoso prendevo in giro i miei genitori su come si sarebbero aspettati Momo prima di conoscerlo. Giocavo su stereotipi e pregiudizi», ricorda Raissa. «Con la nostra community siamo un gruppo di amici che dialoga e si confronta. I social rappresentano un modo di relazionarci abbattendo le distanze anagrafiche e fisiche», afferma Momo.

Oggi questa coppia nella vita e sugli schermi ci mette anche la voce, oltre che la faccia: da alcune settimane i due sono impegnati in un prodotto editoriale per Spotify incentrato sui valori che ispirano la generazione Z. Si tratta di “New G”, primo video podcast del colosso di streaming e prodotto da Show Reel Agency. «Sono l’host di questo nuovo format inedito che ci sta dando tante soddisfazioni. È realizzato con cinque creator. Parliamo degli interessi dei giovanissimi e decliniamo un mosaico di esperienze, voci, culture. Le differenze arricchiscono», precisa Momo. «Parliamo di sociale e ambiente, ma anche di ansia e solitudine. Siamo una generazione attiva che vuole fare la differenza, non si gira dall’atra parte», dice Raissa.

Nuove narrazioni

Anche il format che coinvolge Momo e Raissa ci racconta di come vadano ripensate con lenti differenti quelle operazioni legate alla narrazione, al posizionamento, alla relazione con la generazione Z. Azioni che un brand o addirittura un intero comparto dovrebbero adottare per migliorare la percezione rispetto a questa fascia di consumatori. «Si tratta di fare sistema tra il web e la tv, alla quale è comunque riconosciuto un ruolo. Ma sono le modalità a dover cambiare: se il web è il luogo di incontro elettivo, occorre fare i conti con una percezione di scarsa attendibilità dei contenuti degli influencer, dei politici e di quelli pubblicitari in genere. Non dimentichiamo che parliamo di una generazione cresciuta a recensioni più che a spot», precisa Secci.

Ma per quale motivo la conoscenza dei brand misurata nella generazione Z è nettamente inferiore a quella degli adulti? La causa principale sta sicuramente nello scarso utilizzo dei media tradizionali, con un consumo mediatico che esclude o limita questi mezzi. Poi in ballo ci sono gli algoritmi social, programmati per proporre contenuti simili a ciò che il singolo utente ha mostrato di gradire. Dall’indagine emerge che il rapporto con la rete va oltre la definizione di forte consumo e assume i contorni di una vera e propria dipendenza. Ben 6 giovanissimi su 10 consultano lo smartphone in modo ossessivo. Tutto questo ridefinisce le conoscenze profonde su argomenti specifici. Ancora una volta la verticalizzazione spinge alla creazione di echo-chamber, quelle stanze dell’eco che amplificano opinioni, scelte, consumi.


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