
Ma sta succedendo veramente? Se lo è chiesto sui social Bretman Rock, ventitreenne e beauty influencer filippino da diciotto milioni di follower solo su Instagram, diventato famoso su YouTube prima di approdare con un suo show sul network musicale MTV. Con un body attillato, tacchi a spillo e lunghe orecchie da coniglietto ha fatto il giro del mondo diventando il primo gay sull’iconica copertina di Playboy, oggi solo digitale con l’abbandono della carta ad inizio pandemia dopo sessantasei anni. «Per Playboy mettere in cover Bretman Rock è un’operazione importante a favore della comunità LGBT, ma intercetta anche le persone di colore e si accredita tra le varie nicchie di lettori», ha argomentato la CNN. Già l’anno scorso sulla copertina dell’edizione messicana aveva fatto capolino in veste di coniglietta la beauty influencer Victoria Volkova, la prima donna transgender.
Esperienze per tutti
Includere è nel vocabolario delle nuove generazioni di consumatori. Basti pensare che negli Stati Uniti la generazione Z rappresenta già il 25% della popolazione. Lo ha messo nero su bianco lo studio di Microsoft “The psychology of inclusion and the effects” dedicato alla rivoluzione dei consumi: il 70% dei giovani intervistati ha dichiarato di fidarsi maggiormente di brand che rappresentano la diversità, mentre il 49% ha affermato di aver smesso di comprare da marchi che non rispettano i valori in cui credono. La pubblicità inclusiva ispira fiducia, genera fedeltà e spinge all’acquisto. «Il marketing inclusivo è un investimento sul futuro delle marche. D’altronde il business è appartenenza: quando i tuoi clienti sentono di appartenere a te, ti premiano scegliendoti», ha scritto Sonia Thompson su Forbes. Scommettere sull’inclusione conviene, quando diventa più concreta e fattuale.
L’impatto sul business
Così Burger King ha lanciato Plant-Based Whopper dedicato ai consumatori vegetariani e vegani e che non mangiano carne. Philips ha presentato una campagna sui prodotti hi-tech raccontando la famiglia Wellington, con due papà e due figli nel tempo espanso del lockdown. «I grandi azionisti sono interessati alla rendicontazione non finanziaria delle performance nel diversity management e nell’inclusione. I flussi di cassa per dipendente sono 2,3 volte più elevati sui tre anni per le imprese dirette da team eterogenei. Al governo della complessità devono affiancarsi nuovi processi culturali e diversi strumenti, dalla revisione della stessa identità organizzativa al ridisegno dell’esperienza di tutti i portatori di interessi», afferma Andrea Notarnicola, che dirige il Comitato Global Inclusion – Art. 3. L’iniziativa, realizzata con Il Sole 24 Ore e l’Associazione Italiana per la Direzione del Personale, per questo 2021 mobilita l’ecosistema delle imprese su eventi e workshop per condividere le pratiche di successo.
«Gli obiettivi di diversity possono essere calati dall’alto, ma un lavoro di evoluzione culturale nella percezione delle persone ha bisogno di un approccio dal basso. Il primo ostacolo alla partecipazione è una cultura gerarchica disfunzionale: non ha senso parlare di inclusione quando ai vertici sono concessi comportamenti di scarso rispetto verso i collaboratori e l’azienda», precisa Notarnicola.
Brand accessibili e vincenti
L’inclusione passa oggi necessariamente anche dall’esperienza di navigazione, in un tempo nel quale i canali digitali si sono necessariamente moltiplicati. «La pubblicità accessibile non finisce con l’annuncio, anche perché si andrebbe a tagliare una parte rilevante del mercato: oggi 1 persona su 4 potrebbe non ricevere il messaggio perché questo è il rapporto tra le persone con disabilità e la popolazione. Rendere accessibile i siti a tutti conviene», afferma Tiziana Tini, docente di digital marketing al Glion Institute of Higher Education.
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