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Il mondo delle sneakers, tra prezzi (e margini) alle stelle e speculazione

Nel giorno di Natale i negozi aperti nelle più centrali strade dello shopping di Milano – via Torino, corso Vittorio Emanuele e via Montenapoleone – si contavano, giustamente, sulle dita di una sola mano. Ma uno soltanto era affollato, oltre che aperto, quello nella parte iniziale di via Torino, la più vicina al Duomo, a insegna Nike x Jordan , inaugurato il 16 dicembre, primo flagship store del brand di Michael Jordan, uno dei più famosi giocatori di pallacanestro di tutti i tempo. Un negozio da 360 metri che ospita tutti i prodotti a marchio Nike x Jordan (abbigliamento e calzature da uomo, donna e per bambini), fin’ora venduti solo negli store Nike, nel sito ufficiale del brand e tramite l’app Snkrs, app ufficiale di Nike che aiuta a restare aggiornati sui nuovi lanci negli store fisici e online (nella foto in alto, la schermata iniziale dal sito di Nike per scaricare la app). Nel negozio di via Torino si trovano tute, zaini, ma soprattutto sneakers, quelle che fino a un paio di generazioni fa in Italia chiamavano “scarpe da ginnastica” o “scarpe da tennis”.

Dai campi di gioco alle strade

Il nome inglese è più adatto non fosse che per una ragione: pur essendo il best seller di Nike e degli altri colossi del settore degli articoli sportivi, come Adidas o Puma, le sneakers non sono più pensate, vendute e usate sui campi da gioco, che sia pallacanestro o tennis poco importa, bensì in ogni altra occasione, soprattutto da pre teenager, teenager e under 30. La prima ragione di questo successo e di questa diffusione è che le sneakers sono comode: non è un caso se negli ultimi dieci anni ogni marchio di alta gamma, da Gucci a Vuitton, da Kiton a Santoni, per citare due campioni dell’artigianalità e sartorialità italiana, hanno investito in questo tipo di scarpe, aiutate dal “megatrend” del casualwear. Una volta l’unico giorno “concesso” all’abbigliamento informale era il venerdì (il “casual Friday” inventato dagli americani); oggi le sneakers possono essere indossate ovunque (anche sul red carpet, magari abbinate, per gli uomini, a uno smoking) e da chiunque e a qualunque età. Poi c’è la moda, il desiderio di seguire una tendenza per sentirsi accettati dai coetanei. E qui torniamo alle Nike x Jordan.

Il best seller industriale e di plastica da 400 euro

Se pagare centinaia di euro o dollari per una scarpa di Gucci, Vuitton, Kiton, stringata o sneaker che sia, può sembrare “normale”, meno facile da comprendere sono costi simili per una “scarpa da ginnastica” di Nike o Adidas. Le prime, oltre al “sovrapprezzo” legato al nome del marchio, sono spesso fatte a mano, in Italia soprattutto: Vuitton ha una manifattura per le scarpe, sneaker comprese, in Veneto; Kiton le fa, come ogni altro prodotto, in Campania; Santoni le crea, assembla e rifinisce nelle Marche. Le seconde sono quasi sempre made in China / Vietnam / India / Indonesia, con costi di produzione infinitamente più bassi. Aggiungiamo pure ricerca e sviluppo sui materiali (sempre più leggeri e sostenibili, almeno stando alle dichiarazione di Nike e altri colossi del settore), costi di marketing e comunicazione (Michael Jordan è diventato ancora più ricco dopo la fine della sua carriera sportiva proprio grazie a Nike e altre aziende alle quali si è legato) e crescita di voci come energia e logistica. Ma niente, di fatto, può giustificare i moltiplicatori che vediamo nelle sneaker. Se non che il desiderio (o le mode) non hanno prezzo. In negozio si trovano Nike Jordan a partire da 120-130 euro ma quelle più richieste del momento sfiorano i 400 euro, con un costo di produzione che quasi certamente non supera i 40-50 euro.

Perché strapagare le sneakers

Le Jordan di oggi non hanno più quasi nulla a che fare con il basket o la storia di Michael Jordan, come era nel 1985 quando furono introdotte e il campione le indossava anche sui campi. Oggi le Jordan, come molte altre sneakers, sono un fenomeno di costume. In più c’è il fattore della scarsità di offerta, che attira ancora di più il pubblico e le rende una rarità molto desiderata. Negli ultimi anni sono aumentati gli episodi di lunghissime code notturne di fronte ai negozi in attese che, il giorno successivo, scattasse l’ora X dell’arrivo in negozio dell’ultimo modello annunciato. E qui veniamo alla seconda novità, che distingue il “fenomeno sneakers” da altre “manie modaiole” del passato, come i paninari in Italia negli anni 80. All’epoca non c’era internet e la rivendita dei modelli più rari e costosi di Moncler, Timberland, cinture El Charro, felpe Best Company e occhiali Ray-Ban (solo per citare alcuni dei marchi che componevano la “divisa” dei paninari) era molto limitata.

Siti specializzati in informazioni e rivendita

Si moltiplicano, negli Stati Uniti, patria del casualwear e dello streetwear, di cui le sneakers sono parte integrante, e non solo, siti e veri e propri magazine online che danno informazioni sulle novità. In Italia c’è ad esempio Nss Magazine , che sta seguendo con molta attenzione il crescente interesse delle pre adolescenti, adolescenti, ragazze e giovani donne per le sneakers, da sempre più amate da ragazzi e pubblico maschile in generale. Qualche settimana da ad esempio Nss ha dedicato un approfondimento ai nuovi lanci di Nike e New Balance, intitolato “Il platform è davvero l’unica opzione creativa per le sneakers femminili? L’ultimo drop di New Balance identifica una tendenza troppo comune” . Secondo Nss, «Per provare che il platform è la soluzione facile ad un problema complesso, basta pensare alle collezioni di Puma x Dua Lipa con il modello Mayze o alle Air Jordan 1 Elevate Low, che sulla falsa riga del successo delle Air Jordan maschili ma soprattutto delle Nike Dunk ha deciso di incorporare quei centimetri in più alla suola dandogli un’aspetto arrotondato, e quindi immediatamente “cute” e più appetibile al nuovo target femminile», si legge su Nss. «Il problema è che le donne che amano le sneakers, non necessariamente cercano la funzionalità del tacco, ma cercano struttura, design, ricerca, qualità dei materiali e soprattutto, un po’ di ingegno creativo», conclude l’articolo. Oltre a informazioni e analisi, ci sono siti specializzati in rivendita di sneakers (anche mai usate) e di aste, con pezzi da collezione fuori commercio da anni. il “reselling” è un fenomeno in ascesa anche in Italia: consiste nell’acquistare – soprattutto online –modelli in tiratura limitata di sneakers di marchi come Adidas, Nike e Supreme, e poi rivenderli a prezzo maggiorato. Le previsioni di GlobalData indicano che il mercato globale del resale passerà da 28 miliardi del 2019 a 64 miliardi nel 2024, con una crescita annua media del 39%. Come ha spiegato di recente il sito Economyup , «in Italia cinque anni fa i collezionisti rappresentavano circa il 5% dei consumatori, mentre i cosiddetti reseller erano circa l’1%. Oggi tutti i consumatori sono potenziali reseller, grazie ai social media e a piattaforme create ad hoc». Tra i siti di reselling più famosi ci sono StockX, Grailed e Flight Club.


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