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Corti, web-serie e commedie: il video vira sulle emozioni | DReporter
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Marketing

Corti, web-serie e commedie: il video vira sulle emozioni

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«I consumatori non si preoccupano di te come azienda, ma principalmente di loro stessi. Per questo un brand è spiegato meglio se narrato con storie coinvolgenti». Non usa mezzi termini Dave Kerpen, columnist del New York Times, per argomentare come si debba uscire dalla logica autoreferenziale e approdare verso narrazioni più evolute, interattive, partecipate. Smetti di vendere, inizia ad aiutare: è diventato un mantra per il marketing contemporaneo e una bussola per orientare le campagne che oggi si esplicitano con soluzioni di branded entertainment.

Il branded entertainment

Uno studio promosso da Google, in collaborazione con Obe (Osservatorio Branded Entertainment) e Upa (l’associazione delle imprese che investono in pubblicità), prova a fare luce sull’evoluzione delle marche in ecosistemi di intrattenimento. Più facile a dirsi che a farsi perché lo scenario è diventato più complesso e la battaglia dell’attenzione si gioca sui secondi: lo rivela la ricerca presente nello studio e condotta da BVA-Doxa, che ha interrogato professionisti del marketing e della comunicazione.

Prodotto omnicanale, ma con una spiccata declinazione sul video: così il branded entertainment domina gli schermi miniaturizzati degli smartphone e quelli espansi della Iptv. «Corti, web-serie, comedy sketch, social experiment: sono tante e diverse le tipologie di video e ciascuna ha le sue regole. L’audience è sicuramente più evoluta e oggi molto più sensibile a tutti gli aspetti di una produzione video. Se parliamo di corti la potenza della storia è sempre più rilevante, così come il crafting. Ma questi due elementi non sono sufficienti se il video non riesce a generare emozioni, a smuovere qualche corda, qualunque sia il tipo di stato d’animo. Può far ridere, commuovere, sorprendere, ma deve soprattutto emozionare. Registi di fama, influencer o celebrità alla corte dei brand? Dobbiamo ricordarci che il punto non è se partecipano, ma come prendono parte al progetto», afferma Anna Vitiello, Direttore Scientifico OBE e Direttore OBE Academy.

La centralità del contenuto

Il contenuto fa la differenza per pubblici più parcellizzati e più consapevoli. «Il video rappresenta da sempre la forma privilegiata per coinvolgere e mantenere l’attenzione delle persone. Ma non è più tanto il video come formato a incidere oggi, bensì è il video col suo contenuto: lo vediamo con i creator che hanno più successo su YouTube e lo confermano studi di mercato: le persone sono più propense a prestare attenzione a contenuti per loro rilevanti», afferma Francesca Mortari, Director YouTube per il Sud Europa.

Domina il video e soprattutto ciò che ci sta intorno. Così la narrazione deve essere più evoluta, rilevante, coinvolgente, rafforzando quel legame tra marca e consumatore. «Il branded entertainment uno strumento relativamente nuovo, ma ha mostrato subito le sue potenzialità. Lo vediamo ogni giorno su YouTube: un brand che si racconta, che parla con il consumatore invece di vendere qualcosa va ben oltre la sponsorizzazione tattica perché incontra il proprio pubblico su un terreno di valori condivisi. YouTube è per sua natura il luogo ideale per una marca per raccontare e raccontarsi, nonché per agevolare creativi e aziende a trovare le audience più pertinenti perché si concentra sulle preferenze, sulle passioni, sulle emozioni. Ma per essere efficace deve diventare una strategia di lungo termine e privilegiare la qualità del contenuto rispetto alla durata, perché se le persone si appassionano ad una storia, ne vogliono sempre di più. Non è un caso che vediamo long form ancora più coinvolgenti. Tra le storie di successo c’è Lavazza Basement Cafè, che è stato replicato negli anni ampliando i temi trattati e superando i confini nazionali per essere lanciato anche in Germania», dice Mortari.

Contenuti e formati

L’evoluzione del branded entertainment si snoda in tante declinazioni e nei casi più coraggiosi approda ad un taglio più cinematografico con un long-form. È il caso del cortometraggio di quasi dieci minuti Carebonara, promosso da Barilla e lanciato in occasione del Carbonara Day, giornata che celebra ogni anno uno dei piatti più iconici al mondo. Prendersi cura del prossimo, anche semplicemente con un piatto di pasta. Il corto è ambientato negli anni Quaranta segnati dalla guerra con un giovane soldato americano e un cuoco italiano che danno vita alla leggendaria ricetta della carbonara. La campagna è stata promossa in Italia, Francia, Regno Unito e Australia.

Tra i casi di successo c’è anche una caffetteria che fa tendenza. Precisamente uno studio, tre poltrone, i temi più caldi del momento e quella incasellabile generazione Z in ascolto. Tutto questo è Basement Café, talk ideato da Lavazza per capire il presente con chi lo sta facendo. Ogni nuovo episodio viene lanciato ogni due settimane, solo su YouTube. Il branded entertainment è nato nel 2019 e oggi registra oltre 25 milioni di visualizzazioni su YouTube. La narrazione si sviluppa in una serie di interviste con estratti di film d’autore che diventano il pretesto per raccontare le vite e le carriere degli artisti più amati dai giovani. Il progetto è diventato un punto di riferimento e oggi è stato esportato anche sul mercato tedesco.

Ci sono poi branded entertainment ironici, coinvolgenti e che lasciano il segno. Tra questi uno dei più recenti racconta la sessualità delle persone con sindrome di Down e disabilità intellettiva. A promuoverlo è CoorDown insieme a Control. La campagna prende il nome di “Just the two of us”. Obiettivo: promuovere il diritto delle persone con sindrome di Down di vivere una vita sessuale indipendente con informazioni corrette e accessibili. In un intreccio di relazioni amorose e presenze ingombranti si arriva al messaggio finale: “L’amore ha bisogno di spazio”.

Filiera in evoluzione

Dal prodotto a chi lo commissiona e lo realizza. «Il branded entertainment, nonostante venga da tutti considerato una leva strategica, a volte viene ancora trattato in modo tattico. Tutto ciò non consente di sfruttarne completamente le potenzialità. Una maggiore governance consentirebbe di integrarlo già a monte nella strategia di marketing. Occorre coerenza nella definizione degli obiettivi, integrazione e sviluppo transmediale e coordinamento di tutti gli strumenti e i canali che possono contribuire come pezzi di un puzzle alla costruzione di una narrazione unica», precisa Vitiello.

Così la filiera della creazione di contenuti e della loro produzione e distribuzione appare più sfumata rispetto al passato, più ibridata nelle competenze. «I progetti di branded entertainment sul digitale hanno una natura di per se’ complessa: coinvolgono molti attori che lavorano in logica cross-funzionale e si interfacciano su diversi livelli decisionali. Oggi non esistono ancora figure specializzate che guidano l’intero processo e non esiste un flusso di lavoro unico e standard. È la ragione per cui ci siamo messi in ascolto degli attori del mercato», conclude Mortari.

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