
Oggi allenarsi è tutta un’altra stories. Perché nel tempo del distanziamento sociale e con le chiusure di club e palestre, l’allenamento si sposta tra le mura di casa. Così si moltiplicano influencer e atleti impegnati a raccontare sui social – e in particolare sulle stories – tecniche di training casalingo. Un fenomeno destinato a crescere, secondo i dati appena arrivati dal CES di Las Vegas, quest’anno totalmente virtuale. App e servizi online per il fitness si affiancano a piattaforme streaming e software di videochat. Insomma, anche nel 2021 sarà boom per la masterclass dal salotto di casa, con atleti e trainer a portata di smartphone. «Ogni giorno pubblico stories sul mio profilo di Instagram, dando informazioni sull’allenamento e sull’alimentazione. Di fatto ne nasce una relazione costante con gli utenti che mi seguono», racconta Lamont Marcell Jacobs, classe 1994, lunghista e velocista della nazionale italiana di atletica, record italiano nella staffetta ai Mondiali di Doha e terza medaglia d’oro consecutiva sui 100 metri ai campionati italiani assoluti. Jacobs si è affacciato di recente sui social, raggiungendo in breve oltre sessantamila follower su Instagram.
Attenti al rumore di fondo
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Ma se da un lato crescono gli influencer, che moltiplicano le relazioni con la community, cosa accade sui profili social dei brand? Questo tempo incerto moltiplica l’interesse per le stories su tutte le piattaforme social (tra le ultime arrivate c’è LinkedIn). Un racconto che abbandona la memoria storica in favore del “qui e ora”. Su Instagram più di 500 milioni di utenti adottano quotidianamente questa funzionalità, scegliendo spesso i profili delle marche. Sono ben 25 milioni quelle attive e le loro stories ottengono fino al 37% delle impression totali. Narrazioni immediate, colorate, mutevoli. Perché questa volatilità crea quasi dipendenza. «Le stories sono popolari perché coinvolgenti e interattive. Nonostante il fatto che possano essere salvate, la natura temporanea del contenuto crea un senso di scarsità che spinge gli utenti a voler rimanere aggiornati. Ecco perché sono una fonte di maggiore visibilità per le aziende», ha scritto su AdWeek Ana Gotter, esperta di social media.
L’accesso è certo più immediato, ma anche molto distratto. Lo rileva una delle ricerche più complete realizzate negli ultimi tempi: è quella di Social Insider, che ha analizzato durante tutto il 2020 quasi settecentomila stories provenienti da 6.602 profili aziendali. Dall’analisi emerge come i brand pubblichino una media di 7-8 stories al mese, ma quelli più attivi si spingono fino a 5 al giorno, con un alto tasso di fidelizzazione (addirittura superiore al 70%). Più della metà delle stories – il 52% del campione – performano meglio quando composte da video e immagini. Stories per molti, ma non per tutti: le aziende con meno di 10mila follower, nonostante registrino tassi di copertura elevati, non riescono a trattenere gli spettatori. Ma c’è di più. L a generazione di lead ha un’incidenza di gran lunga inferiore, meno del 10% degli annunci. Ne consegue quindi un consumo poco funzionale al business e che alimenta il rumore di fondo, come aveva affermato al Sole 24 Ore anche il guru del marketing contemporaneo Seth Godin già due anni fa. «Dobbiamo far scendere i brand dalla giostra dei social media, che va sempre più veloce e non arriva mai da nessuna parte. Siamo in una fase storica accelerata che non ammette scorciatoie e occorre concentrarsi su un percorso lungo e sostenibile, tornare all’autenticità, che passa necessariamente dalle esperienze», affermava Godin.
Andare oltre le stories
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